MAX ALLEGRI, L'ELOGIO DEL CALCIO


Potevamo noi, ragazzi amanti di questo sport, esimerci dall'analizzare l'evento legato al mondo del pallone di questa settimana? L'evento in questione, però, non è Roma-Napoli, o meglio, non è affatto una partita, bensì il ritorno davanti ai monitor e alle telecamere di un vero e proprio Signore del Calcio, Mr. Max Allegri, ai microfoni di Sky Calcio Club. Lungi da noi elogiare "alla carlona" un allenatore, un'ideologia, una moda, anzi, ma nelle parole del tecnico livornese non possono che essere evidenziati dei concetti chiave che stanno scomparendo nel dizionario calcistico italiano, a discapito di una modernità non sempre utile e spesso difettosa. Ecco dunque una sintesi dei punti di forza della "teoria allegriana"

LA TECNICA E I GIOVANI, L'ITALIA RIPARTA DA QUESTO

I primi due capisaldi che lo stesso allenatore ex Juventus e Milan ha voluto portare avanti sono, forse, i due grandi anelli deboli dell'Italia del pallone, da dieci anni a questa parte; i giovani e il divario tecnico. Dal punto di vista dello sviluppo dei talenti italiani, lo stesso Allegri, che aveva parlato bene di Fagioli qualche anno fa, propone addirittura di riformare il campionato di Serie D e di dare maggior spazio agli under nei campionati minori, non tanto per formarli ai ritmi del calcio vero ma per poter dare loro una forma mentis tale da poter "capire" lo sport da subito, per poter essere protagonisti da subito nel loro crescendo sportivo; ecco perché, secondo lo stesso Allegri, all'estero "si passano la palla a 100 km/h e vanno più veloci delle squadre italiane". Qui entra in gioco poi il secondo punto di questo paragrafo, quello forse più sentito dallo stesso allenatore livornese, quello sulla tecnica; è innegabile, d'altronde, che il gap tra il nostro campionato e le competizioni internazionali sia diventato grande, per non dire supremo, proprio sotto questo punto di vista. Se prima la Serie A vantava fior fior di campioni, di superstars del football che primeggiavano in ambito mondiale, nel decennio appena passato si è assistito ad un livellamento prima e ad un ribaltamento poi in ambito internazionale di tutto ciò; ora Spagna, Inghilterra, Germania sovrastano il circuito calcistico del Belpaese soprattutto per tecnica, per qualità, quella sulla bocca di tutti gli "esperti", che però spesso si scordano che quest'ultima va insegnata bene, coi giusti tempi e nei giusti contesti. Allegri, poi, elencando i suoi "preferiti" del settore, non ha potuto che esaltarsi, parlando di Seedorf, Cassano, Ronaldinho, Dybala, dimostrando grande passione per questi giocatori e per le loro doti, figlie di grande desiderio di incidere nel match e di grande sacrificio, oltre che di Madre Natura; erano coloro i quali toglievano pensieri e problemi allo stesso mister, anche se del lavoro dell'allenatore parleremo qui sotto..

IL MESTIERE DELL'ALLENATORE E LA GESTIONE RISORSE UMANE

Essendo "del mestiere", come direbbe Checco Zalone, Allegri non poteva non pronunciarsi anche sul lavoro di Pirlo, di Conte e del panorama manageriale italiano. La prima cosa di cui ha parlato è la gestione delle risorse umane, un concetto spesso posto in secondo piano ma, mai come quest'anno, molto importante; la capacità, cioè, del tecnico di poter avere sotto mano un grande numero di giocatori, diversi e mai interscambiabili, che compongono la rosa di un Top Team, basti pensare, ad esempio, a campioni del calibro di Ibrahimovic e Cristiano Ronaldo, aziende fatte uomo, che "vanno gestiti diversamente, non esiste facile e difficile". Difficile poi non pensare alle parole di Fonseca, alla fine del match dell'Olimpico che ha anticipato il Club e sulle quali anche lo stesso "Conte Max" ha potuto riflettere; "I problemi di una squadra vanno risolti a novembre, se esistono a Marzo vuol dire che c'è qualche problema" non è un teorema citato dal celeberrimo de La Palice, ma uno spunto molto intrigante posto dallo stesso ospite d'onore, che ha ribadito quanto ci sia bisogno di una persona credibile e capace di risolvere questioni interne nei tempi e nei modi opportuni, basti pensare a come lo stesso Allegri ha messo in pratica questo suo assioma nel corso della sua carriera, tatticamente e non, nei suoi club. Il punto più alto però, riguardo a questo "paragrafo" è stato raggiunto quando, insieme ad un altro Signore del Calcio, Fabio Capello, l'allenatore toscano ha ribadito quanto "il mestiere dell'allenatore è difficile, perché dal lunedì al venerdì/sabato c'è da fare un lavoro, la domenica ce n'è un altro". Qui, forse, troviamo uno dei paradigmi del mondo allegriano, non tanto per la questione degli imprevisti, della capacità di normalizzare un collettivo e di lavorare per il meglio per se stesso e per il gruppo (John Nash sarebbe comunque orgoglioso di tutto questo), ma per la grandissima abilità di non sottovalutare nessun aspetto del suo lavoro; molti addetti ai lavori, infatti, raccontano di un Allegri in controllo, subordinato o diretto, di statistiche, dati ed analisi ma sempre pronto a fidarsi del proprio istinto "pallonaro" e capace di creare un mix perfetto per leggere il calcio, ciò che ogni allenatore dovrebbe fare, senza perdere troppo tempo dietro schemi astrusi, idee difficilmente praticabili; ma, per questo, il meglio arriva alla fine...

"IL CALCIO È COME UN VESTITO GRIGIO"

Se volessimo trovare l'highlight della serata potrebbe essere proprio questo, che ha lo stesso sapore del ritornello di Cult of Personality, nelle entrate di CM Punk. Nel parlare di costruzioni dal basso, di moduli, di possesso palla, di contropiede, di tanto, di tutto, forse c'era bisogno di Max Allegri per far capire al pubblico, ai tifosi (e, azzardiamo, anche a qualche allenatore) che il pallone è quello sport dove conta fare un gol in più degli altri, o subirne uno in meno, che ci sono dinamiche che non cambieranno mai e, soprattutto, che questo è uno sport e, come tale, va vissuto. Dal modo in cui è entrato, nel modo in cui si è perso nei suoi aneddoti, nell'esaltazione di gesta, di partite indimenticabili, quello che Massimiliano Allegri ha voluto regalarci è stato l'ennesimo gesto d'amore verso il Calcio, che mai come in questo momento è sempre più in balia di confusione e disperazione c'è bisogno di calma, di decisioni semplici ed efficaci e che non contano i numeri di un modulo se non lo si interpreta bene. Non sappiamo dove andrà il tecnico vincitore di sei Scudetti, se rimarrà in Italia o andrà all'estero, se ritornerà alla Juventus o alla Roma o al Napoli, ma probabilmente Allegri rappresenta l'unica vera soluzione al momento critico italiano, incapace di creare bel gioco e giocatori di altissimo livello, o di non valorizzarli al massimo; la sensazione è che sia lui che Mancini, capo truppa della nostra Nazionale, possano diventare nel breve-medio termine la risposta italiana al calcio moderno, riportando "il calciatore al centro del campo" e senza usarlo "per dimostrare la bravura dell'allenatore", perché, sebbene siano passati quasi due anni, per lui "il calcio è una cosa semplice", nonostante tutto e contro tutti.


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